Accade spesso, leggendo report di
scavo o lavori di vario genere, di imbattersi nella letteratura archeologica in manufatti la cui materia prima è vagamente definita come “osso o avorio”
senza giungere ad una più puntuale determinazione, ed è ancora più raro trovare
un’identificazione della materia prima dei manufatti che non solo giunga alla
definizione dei prodotti ottenuti da denti di animale di media e grossa taglia,
ma distingua anche l’avorio ricavato dalle zanne d’elefante (che potremmo definire
“vero avorio”) da quello, ad esempio,
ottenuto a partire da incisivi e canini d’ippopotamo (che potremmo definire
avorio sensu lato).
Tale distinzione è non solo
possibile, ma spesso anche semplice. Messa a punto, in collaborazione con il
CITES ed il WWF, per l’identificazione dei manufatti in avorio d’elefante il
cui commercio e la cui fabbricazione sono oggi vietati dalle norme
internazionali, la tecnica d’esame si basa su semplici osservazioni autoptiche
da condursi ad occhio nudo o con l’ausilio di lenti o microscopi a basso
ingrandimento ed è totalmente non distruttiva.
Le zanne d’elefante, da cui si
ricava l’avorio, sono gli incisivi superiori (a crescita continua) dell’animale
che l’evoluzione ha adattato e modellato sulla base di particolari esigenze.
Esse hanno, perciò, la stessa composizione di tutti gli altri denti, ovvero
smalto, dentina e cemento, tuttavia lo smalto forma solo un sottile cappuccio
esterno che viene perduto immediatamente dopo l’eruzione del dente. Per questo
motivo, le zanne d’elefante sono interamente formate da dentina, materiale
molto più tenero e “modellabile” rispetto al rigido, fragile e duro smalto. La dentina è
caratterizzata da tubuli cavi, microcanali che si irradiano dal centro del
dente (la cavità pulpare) verso la superficie esterna, il cui diametro oscilla
tra 0,8 e 2,2 micron (Espinoza, Mann 1991). Essi hanno perciò diametro molto
minore rispetto i canali che caratterizzano la struttura delle ossa (canali
haversiani, visibili con un semplice microscopio ottico o lente d'ingrandimento 10x) e necessitano
di alti ingrandimenti per poter essere visibili.
Superficie di manufatto in osso al microscopio ottico (20x). Le strutture dei canali haversiani appaiono ben evidenti. |
Le sezioni trasversali delle
zanne d’elefante mostrano invece una caratteristica unica: le linee di
Schreger. Si tratta di strutture variamente definite in letteratura
(arabescature, chevrons, ecc.) che formano una sorta di scacchiera curvilinea
incrociandosi con angoli ben definiti. Esse sono ben visibili nei pressi della
superficie esterna della zanna, mentre si fanno meno evidenti nei pressi della
cavità pulpare.
La presenza delle linee di
Schreger su manufatti permette quindi facilmente l’identificazione
della materia prima da cui sono stati ricavati.
Frammenti di pettini in avorio provenienti da una necropoli siciliana dell'età del Bronzo con evidenti linee di Schreger. |
Incisivi e canini di ippopotamo, al contrario, non presentano le linee di Schreger. La sezione trasversale
del dente è caratterizzata, se osservata con una semplice lente a 10
ingrandimenti, da strati di materiale
densamente impilato in livelli concentrici separati da linee sottili.
Sezione trasversale di canino di ippopotamo. Si noti l'andamento concentrico degli strati di dentina |
Per le loro dimensioni e per
l’elevato spessore della dentina, i
denti di ippopotamo sono stati spesso usati nel mondo antico, e non è raro
imbattersi in manufatti fabbricati a partire da tale materia prima.
A tutti coloro che volessero approfondire le tecniche di riconoscimento dell'avorio elefantino e dei suoi sostituti si consiglia la lettura di:
A tutti coloro che volessero approfondire le tecniche di riconoscimento dell'avorio elefantino e dei suoi sostituti si consiglia la lettura di:
Espinoza
E., Mann M., 1992. Identification guide for Ivory and Ivory Substitutes. World Wildlife Fund and Conservation Foundation (Consultabile on-line all'hurl http://www.cites.org/eng/resources/pub/E-Ivory-guide.pdf)
Hornbeck, S., 2010. Ivory: Identification and regulation of a precious material, National Museum of Aftrican Art Conservation Laboratory, Smithsonian, http://africa.si.edu/research/ivory.pdf
Krzyszkowska. O., 1990. Ivory and related materials. An illustrated Guide, Classical Handbook 3, Bulletin Supplement 59, Institute of Classical Studies, London.
Finalmente una chiara e concisa chiave di lettura per l'identificazione degli "avori". A meno che non si possegga uno dei manuali indicati posso assicurare che non c'è modo di ottenere una spiegazione così immediata ...quanti preistoricisti desidererebbero avere a portata di mano un archeozoologo sul campo :)
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